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A Phillip Island, Rossi c'è

Seguono Lorenzo e Smith; lotta aperta per il secondo posto

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Nel Gran Premio d’Australia dire che è avvenuto di tutto è dire poco.
L’impensabile è stato realizzato, l’ovvio è rimasto dietro anni luce, l’irresponsabilità dei sorpassi ha vinto di mille secoli la pulizia di guida.
A Phillip Island, in uno dei gran premi più mattutini dell’anno, sta di fatto che ha vinto Valentino Rossi, alla sua duecentocinquantesima gara in classe regina.
Sono passati 18 anni da quel 18 Agosto 1996, quando, a Brno, il Valentino Rossi che sceglieva il numero 46 si è precipitato nella mischia della classe regina e, un poco alla volta, si è guadagnato una fama mondiale e si è costruito la sua casina stracolma di punti e ridondante di successi.
Oggi Rossi partiva ottavo e nei primi quattro giri si è fatto vedere in vari specchietti, ha sorpassato con schiaffi su tutti e si è piazzato nel gruppetto dei primi.
All’ottavo giro è arrivato a Lorenzo (che era secondo) ed è iniziata la lotta a suon di carenate, con entrate all’esterno e pieghe sconvolgenti, con sorpassi compulsivi e poco puliti, con zigzagate di traiettoria.
Ma alla fine Rossi è rimasto davanti (certo, Marquez è caduto!) e ora si fionda virtualmente secondo in campionato con 255 punti (contro i 247 punti di Lorenzo e i 230 punti di Pedrosa).
A Phillip Island il podio Yamaha non è ancora completo: mancano all’appello Jorge Lorenzo e Bradley Smith.
Se Lorenzo è stato mitico in partenza e preparatissimo alle alzate di mano nell’interrogazione in cui alla cattedra c’erano lui e Rossi, certo l’usura dello pneumatico anteriore non lo ha aiutato nella seconda parte di gara.
È secondo, ma si lamenta per le gomme e, realisticamente, ricorda che le prime posizioni di tutti sono in parte dipese da varie cadute.
Gradino più basso del podio per Bradley Smith, che autografa fiero e felice, nel suo inglese da contea, il primo podio in classe regina.
Quarto posto per Andrea Dovizioso, nel Circuito di Phillip Island che proprio non gli va giù.
Quinto posto per la Ducati di Hector Barbera e sesto, inedito risultato per Scott Redding.
Ottimo settimo posto di Bautista e ottavo, inattesissimo scalino per Ahoiama.
Gara vissuta in bilico, su sottilissimi fili dello spessore dell’invisibile.
Gara schizofrenica per i responsabili dei team, che vedevano una dopo l’altra le tantissime cadute (specie quelle in curva 4) e pensavano al peggio.
Tra le cadute, oggi, si registrano con amarezza quella di Andrea Iannone (che era undicesimo), quella di Stefan Bradl (frenata ritardatissima), quella di Aleix Espargaro (nervosissimo in uscita) e quella del fratello Paul Espargaro (che si dimena in una caduta sulle ginocchia, sul prato maledetto delle curve scivolose australiane).
Ma soprattutto, sconvolgono le due cadute di Marc Marquez e di Cal Crutchlow.
Marquez è stato primo per tutta la gara, leader indiscusso a consolidatissimi secondi di vantaggio dal pilota che lo seguiva.
È stato impeccabile, ventunenne sin troppo maturo, senza pieghe, con in testa la solennità del titolo mondiale appena conquistato.
Ma, a nove giri dal termine, cade.
Cerca di rimettersi in pista, scova l’utopia del riprovarci, non si rassegna, non molla. Tuttavia la gara è terminata.
Crutchlow, dal canto suo, è stato ferocissimo sulla sua Ducati Ufficiale con la quale è finalmente entrato in confidenza. Poteva chiudere secondo, con alle spalle maratona di ceffoni e gas spalancato, se non fosse che a due giri dal termine, anche lui in curva 4, ha visto la moto prendere una direzione e le sue mani non tenere più; tempo di una rotolata e ha elaborato il prato e la gara conclusa.
Questa è l’Australia.
Arrivederci al prossimo anno, sulle note dell’inno italiano.
 

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