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Un giorno, altrove.

Federico Roncoroni

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Un romanzo epistolare intenso la cui scrittura è magistrale.
Leggetelo, vi cattura l'anima. Roncoroni fa il suo esordio tardivo nella narrativa a lungo respiro.
Non è un semplice romanzo, è Letteratura, perché c'è una bella differenza fra un semplice romanzo e una storia articolata, utilizzando un escamotage pericoloso e che solo un grande scrittore può permettersi. Epistole che ricostruiscono il passato, il presente e il futuro del protagonista, scrittore che da qualche tempo, dopo la malattia sofferta e sconfitta, ha deciso di vivere in ritiro.
In ballo c’è la passione di un maturo studioso di letteratura conscio della propria non riscattabile senilità, per una donna più giovane di lui di 15 anni. Il vero pozzo nero in cui sono sprofondati, e che li ha separati, Filippo e la sua Isabella, è la malattia di lui. Un gorgo di cui pochi miracolati trovano l’uscita “per riveder le stelle”. Figuriamoci la forza per tornare a “Vivere per raccontarla”, direbbe Garcia Marquez.
È solo l’inizio, perché il romanzo evoca sentimenti, pulsioni, vicende intime che riguardano tutti, a 360 gradi. Nessuno escluso. Non è un libro che parla a una stretta cerchia d’iniziati, ma ha ingranaggi sofisticati. Gioca di specchi. Se lui è intellettuale gravato da un vortice di dolori e ospedali, lei è una traduttrice di poeti americani che esce da un passato di modella e fantasmi di droga. E lo specchio è anche nel gioco letterario, tocca i personaggi del dramma: e così Orfeo ed Euridice, e pure Eloisa e Abelardo, si cambiano i ruoli. Lussuria e pietà (in senso parentale e amicale) convivono. Certo, si parla d’amore fisico e sensuale, ma anche della fedeltà che ognuno deve dimostrare alla propria intima vocazione, in questo caso specifico, alla scrittura e al sapere. Si parla, e molto, di spiritualità, di etica, di vita vera, intima, attraverso l’artificio della scrittura. Occorre saperla gestire, plasmare, anche schiacciando (con misura) sul pedale della tensione e del mistero, non si viene mai meno alla matrice culturale dello scrittore.
Il libro di fatto è un inno all’’insieme di rapporti che ogni testo intrattiene con tutti gli altri testi, e che permette al lettore di collocarlo in una determinata tipologia testuale. Senza il peso di citazioni. Da Dante, a Mozart, fino all’eros biblico del Cantico dei Cantici.
L’amore ai tempi delle mail non è poi così diverso da quello del Medioevo della dolce piccola Eloisa e del suo professore, l’evirato per passione Abelardo, che, di fatto, compaiono  con D’Annunzio, Chiara e libri dello stesso Roncoroni, nell’autoritratto che il protagonista, Filippo Linati, concede di sé in questa selva di messaggi elettronici. Emerge anche la passione di Roncoroni per l’arte dell’aforisma, cui ha dedicato una celebre antologia negli Oscar Mondadori, in un detto breve e sentenzioso, fatto e finito, lo troviamo a pagina 59: “Al cuore siamo costretti a ubbidire più di quanto non possiamo comandare”.
Indizi, simmetrie e specchietti per le allodole, però tutti dalla parte di lui, perché lei, Isa, l’amore di una vita, l’unica per cui è degno respirare ancora, colei che sollecita l’inizio del racconto riapparendo dopo sette anni di silenzio al cospetto dell’antico amore da cui si è bruscamente e dolorosamente separata, dà luogo a una lunga sequela di frammenti, non appare mai in forma di mail. È una sorta di avatar di cui all’inizio poco si sa nella selva oscura della rete. Ma di lei proprio, in virtù delle parole che le modella attorno Filippo, come un sarto d’alta moda, si ricostruisce pensieri, parole, tic, il corpo, i capelli, l’odore, i gusti, le abitudini sessuali e gli umori corporali. Nulla (o quasi …) viene tralasciato in cinque mesi di carteggio digitale, dalla primavera all’estate in un gioco di simbolismi che tocca la tavolozza cromatica delle stagioni.
All'improvviso una e-mail, quella d'una vecchia fiamma. Rispondere? Perché? Lei gli ha fatto del male tanto tempo fa, lasciandolo a sé stesso. Per anni lui ha combattuto contro il ricordo di Isabella, lacerante, forse più forte e terribile del linfoma che lo ha condotto sull'abisso della morte.
E adesso Isa torna e vuol sapere con chi sta, se è felice, come vive. Rendere poetico e denso di significato questo scambio di comunicazioni è la sfida che Roncoroni si impegna a intraprendere, trasformando in letteratura ciò che sbrigativamente ci rassegniamo a considerare messaggi senza importanza, veloci, scritti quasi sempre col tono ripetitivo e prosaico di avvisi commerciali, sciupati per la fretta e la scarsa cura che dedichiamo al nostro vissuto, a ciò che risulta troppo facile. E se possiamo con certezza arguire qualcosa di questo romanzo, è che non è stato scritto con leggerezza. I temi trattati sono troppo intimi e personali, e coinvolgono qualcosa di profondo e a volte segreto, nascosto nell’animo di chi scrive, ma soprattutto di chi legge.
E il coraggio di trasformare la vita in letteratura, con una sincerità a volte dolorosa se non addirittura inopportuna, si trasforma in forza che porta ad entrare in empatica relazione con Filippo Linati, uno dei due corrispondenti di questo scambio di messaggi, uniche parole che leggiamo. I messaggi di lei, li possiamo solo intuire per riflesso dalle parole di lui, in un gioco di suggestioni e di assenza che si fa presenza, acquistando una dimensione evocativa, che a mio avviso è la parte più riuscita del romanzo.
Filippo Linati è un personaggio complesso, sicuramente non facile e nemmeno simpatico. Intellettuale di successo, scrittore famoso, che sceglie la solitudine del suo eremo privilegiato, una sontuosa villa adagiata sulle rive del lago di Como e circondata da un parco, come rifugio per dedicarsi con l’ostinazione del sopravvissuto alle sue grandi passioni: i libri e le donne. Ha lottato contro un linfoma che oltre al dolore gli ha portato una ricchezza e un attaccamento alla vita capace di permettergli di trovare un senso anche alle piccole cose, alle schegge di quotidiano che per alcuni sono senza importanza, e né la malattia né l’abbandono o la morte dei suoi genitori sono stati capaci di fiaccare il suo animo combattivo e proiettato verso il futuro.
Filippo ama le donne, tutte sensualmente, capace di sublimare il sesso nella sua personale fame di vita, di consapevolezza, di necessità di trovare un senso, anche spirituale, non dogmatico al suo vissuto. Tra le donne della sua vita, Isa ha un posto privilegiato nelle geografie misteriose della sua anima e quando si rifà viva dopo anni, dopo averlo abbandonato nel periodo della malattia, con una mail, la sorpresa si trasforma in desiderio di riallacciare l’antica relazione, mai dimenticata, di riprendere possesso della sua donna che invita ripetutamente quasi con rabbia nel suo rifugio, offeso e ferito dalla ritrosia di lei.
Dopo una iniziale e oscura intuizione, forse una premonizione, che si perderà nel flusso di coscienza che seguirà e che verrà sommersa dall’esigenza quasi irrefrenabile di parlare di sé, di confessarsi, di aprire la sua anima alla donna che sembra l’unica capace di comprenderlo e completarlo, Filippo vivrà tutte le sfumature della rabbia, della delusione, dell’incapacità di comprendere, fino all’ultima mail, quella decisiva, quella che illuminerà di una luce nuova l’intero scambio “epistolare”.
Un libro d’amore sull’amore e di amore per il libro. Tessuto di un erotismo mai volgare ma fatto di ardimenti fabulatori, giocoso, certo colto, gioioso e dolente al tempo stesso: gioco di ruolo serissimo, perché dannatamente e forsennatamente umano. Fatto di svelamenti, smarrimenti, intermittenze, crudeltà, omissioni, colpi bassi, pentimenti e litigi. Si intrecciano con altre pagine dell’esperienza esistenziale le strategie di seduzione, o meglio, con la loro memoria che si sedimenta nel discorso amoroso e lo alimenta. Dolorose, ma ineludibili come la vita. Vita che proprio per la sua brevità va colta nell’attimo per poi pretendere di essere raccontata come storia di tutti.
Merita lo “Strega” per quanto sa stregare!

Dal libro:
“Ho sempre pensato che un giorno ti saresti rifatta viva. L’ho pensato, sperato, desiderato, sognato, e, certe volte, anche temuto. Adesso che il momento è arrivato non so cosa dire, né cosa pensare.  Curiosa la vita, eh?”
“Un giorno, altrove, ci rivedremo, mi dicesti quella mattina a Parigi, prima di andartene. Dicesti: <>

Rassegna stampa:
Il professor Federico Roncoroni, che come Umberto Eco è passato dall’altra parte della barricata e da critico è diventato romanziere. Qui però non sceglie un alter ego come Guglielmo da Baskerville o, almeno, a fidarsi della nota iniziale, va precisato che si tratta di una «opera di fantasia» e «qualsiasi analogia con fatti, luoghi e persone, vive o scomparse, è assolutamente casuale». Eppure … è  lui o non è lui, Federico Roncoroni, l’intellettuale e letterato un po’ alla Pessoa, con tanti nomi d’arte nel curriculum, rappresentato in questa struggente storia d’amore in forma di carteggio  digitale, ambientata sul romantico lago di Como? Certo pare proprio lui, rispondono i bene informati sulla sua opera e le sue vicende personali. Il libro è disseminato di indizi, che costellano una struttura architettonica rigorosa. Un gioco di intertestualità a cui noi stessi ci prestiamo e vogliamo rendere omaggio (non tutto si può dire del romanzo per non privarvi del piacere del testo), riferendovi questa citazione dall’edizione di Alcyone, il capolavoro dannunziano che Roncoroni ha pubblicato negli Oscar proprio trent’anni fa: “Una ratio ben precisa (..) dà luogo a una struttura estremamente sorvegliata e ricca di simmetrie, di corrispondenze e di richiami interni (…) in modo tale da narrare una vicenda, fruibile, data la sua complessità, su diversi piani”. Roncoroni lo diceva delle 88 liriche della raccolta del Vate, terzo libro delle Laudi, ma il medesimo procedimento strutturale governa anche  questo romanzo, tale da avvincere il lettore e senza fatica portarlo a guardarsi dentro, in filigrana, attraverso un percorso di 391 pagine che si beve d’un fiato. Ma sappiamo che «la Bovary c’est moi», sosteneva Gustave Flaubert, ed è ormai espediente letterario comune per gli scrittori giocare con la propria immagine tra pubblico e privato e così costruire alter ego fittizi. Citiamo alla rinfusa i casi di Charles Bukowski, Antonio Scurati, Michel Houellebecq e James Ellroy. Fiction e realtà, dunque? È il bello dell’arte del romanzo, baby. A saperla praticare. Del resto non era stato Roncoroni a insegnarci che in autori come D’Annunzio lo scopo (e il dramma) era di fare della vita stessa un’opera d’arte? Qui in qualche modo si chiude il cerchio. E l’intreccio funziona, diamine se funziona. In modo magistrale. Anche perché sono in gioco sentimenti e valori primari. L’amore, la morte, il senso della vita e del bello, il valore dell’esperienza umana, i rapporti umani.

L’autore:
Federico Roncoroni, saggista e viaggiatore, ha pubblicato vari testi sulla lingua italiana e su autori dell’Ottocento e del Novecento. Un giorno, altrove, dopo l’esordio narrativo con i racconti del Sillabario della memoria (Salani 2010), è il suo primo romanzo.
Ha fatto innamorare di classici come Lucrezio, Petronio Arbitro, Gabriele D’Annunzio e Ugo Foscolo tante generazioni di studenti, con le lezioni liceali e con i suoi vendutissimi libri di testo (tra gli ex alunni, anche il ministro e manager Corrado Passera). Ha permesso al pubblico italiano di conoscere la sventurata storia d’amore di Abelardo ed Eloisa, e di mantenere accesa la memoria di un grande narratore come il luinese Piero Chiara (è il centenario della nascita), di cui cura l’eredità letteraria e il relativo archivio. Ha insegnato agli italiani a scrivere testi non creativi con un fortunato manuale edito di recente da Rizzoli (Manuale di scrittura non creativa) . E ora fa innamorare lettrici e lettori con il suo primo romanzo, Un giorno, altrove (pp. 391, 20 euro), storia di un epistolario via mail durato cinque mesi, dalla primavera all’estate, edito da fine settembre da Mondadori.
 

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